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Intervento del Prof. Marcello Carlino in occasione della presentazione del libro

Carlino: grazie a voi e dell’invito a questo pomeriggio. Mi fa piacere esserci perché credo che vadano accolte e sottolineate e in qualche modo manifestate fino in fondo le realtà di eccellenza culturale che talvolta si trovano nei luoghi più appartati nella provincia. Questa pinacoteca è in luogo di eccellenza culturale, per il patrimonio che possiede, per le opere di grandissimi maestri del novecento e contemporanei che è possibile vedere in alcune sue sale e anche per le iniziative che ha in corso. Antonio Lieto faceva riferimento a questa mostra di Pernice su in questo spazio straordinario del mausoleo ed è davvero un evento particolare e particolarmente significativo che va accolto con tutto l’interesse. E d’altra parte una realtà di eccellenza corrisponde anche a questa piccola editrice Ghenomena che ha una collana di poesia in cui è pubblicato il libro di Pasquale Gionta e che, con molto coraggio, ma anche con una prospettiva culturale insieme seria, riconoscibile e attendibile sta lavorando sul piano della proposta critico-letteraria, culturale e dell’accoglienza della poesia. La poesia ha bisogno di resistere, ha bisogno di spazi di resistenza e quando si trovano, qualificati in un’editrice come Ghenomena, non bisogna far altro che accoglierli con tutta l’attenzione e con tutto il desiderio di sostenerli che si rende in questo caso necessario. Io dico sempre che, in queste circostanze, ne va del paese intero, la difesa della cultura e della cultura di qualità significa la difesa delle prospettive di un paese intero. Io potrei quasi non dir più nulla a questo punto anche perché, e di questo lo ringrazio, sono stato in qualche misura anticipato sia dalle indicazioni di Rodolfo che dal video e perciò dedicherò i primi istanti di questa mia chiacchierata proprio alla sottolineatura di alcuni elementi di lettura ed interpretazione del testo che sono contenuti esattamente nel video. Intanto, e questo fa riferimento a quanto detto da Rodolfo circa la capacità di tenere a freno, vestire di una dimensione di classicità ed equilibrio le forme della passione. Avrete ascoltato, intanto, il sonoro del video che è di questo straordinario compositore musicista da me molto amato che è Erik Satie il quale in questo caso ci dà insieme l’idea dell’equilibrio che contraddistingue la sua musica. Ma avrete al tempo stesso notato due elementi fondamentali, attraverso l’immagine di figure che sono per un verso mitiche ma anche danzanti, perché questo elemento si rintraccia piuttosto netto nel video. Avrete notato un passaggio abbastanza continuo da figure che appartengono anche all’arte classica a figure che appartengono alla pittura tardo ottocentesca di genere simbolista in modo particolare. Con una trascorrenza, con una cangianza delle immagini per cui avrete molto spesso notato il giuoco delle ombre, del braccio mutilo la cui ombra si proietta sulla figura, il giuoco tra concavo e convesso per cui c’è in qualche modo una continuità di forme tra una figura e l’altra esattamente come in una coreografia, come in una danza. Se partiamo da questo presupposto e da questa utilissima chiave di lettura siamo già molto dentro il libro di Pasquale Gionta. Siamo dentro ad esempio la tipologia del titolo, perché il titolo usa un termine abbastanza raro “guisa” non si usa tutti i giorni, non appartiene al parlato. Usa guisa in una forma per cui guisa non si lega ad una locuzione particolare “in guisa di” che si adopera comunemente. Guisa si adopera qui come sostantivo in luogo di “forma, specie”. Forma per l’appunto di ninfa dove la ninfa in questo caso ovviamente ci riporta esattamente a quelle figure volatili nel senso della danza, della trascorrenza, della mutevolezza, della continuità del loro svolgersi di forma in forma che appartiene alla tradizione della mitologia classica e che viene qui recuperata. E allora da un lato questo elemento, guisa, che segna un dato di classicità e lo segna anche con una punta sottile di distacco e persino d’ironia e d’altra parte invece questa mutevolezza continua delle forme esattamente come una ninfa ci può suggerire. E d’altra parte, se andiamo a leggere esattamente il testo che dà il titolo all’intero libro, e se leggiamo la parte finale, ci rendiamo conto di questo giuoco che è un giuoco insieme di incastri di rimandi, di riflessi di riverberi, tra un elemento e l’altro proprio come in una danza, proprio come in una danza, in un giuoco tra concavo e convesso in un rapporto tra le forme [LETTURA ULTIMA STROFE DI PG. 20] è chiaro come qui si proceda da un lato con un insieme di elementi talvolta segnati dall’accumulo dall’enumerazione che Pasquale Gionta ama particolarmente. E qui il carillon pubblicitario che in qualche modo ci rimanda alle immagini che abbiamo prima veduto. E poi ecco il gioco di specchi di riverberi tutti interni ad una padronanza del linguaggio, perché, vorrei sottolineare, l’esame di guisa che fa riferimento anche ad un elemento quotidiano comune, ma che ha anche un risvolto metaforico ha un suo interno rimando al “senza trame di Giuda” perché Giuda è anagramma di guisa ed in questo verso c’è un risvolto sottilmente ironico come sempre in un uso sapiente del linguaggio ma c’è al tempo stesso proprio questo tipo di formulazione, di costruzione del testo, che si basa esattamente su questo lavorio linguistico fatto di rifrazioni, di riverberi fatto di compenetrazioni linguistiche. Che sia così lo abbiamo anche dopo “il mento stravolto della mia riva” che diventa “il manto d’argento di nuvola avvolto”. “Stravolto avvolto ad ogni svolta”, “ad ogni guado nel mare” si cita una presenza femminile, una ninfa, un personaggio che può essere reale fantastico. Si cita l’imprendibilità di questo personaggio che sfugge, che vaga? Sì certo, tuttavia, naturalmente si cita questo percorso continuo dentro un linguaggio che muta le sue forme, ma che le muta, che si costruisce su questa danza continua esattamente perché tutta la nostra esperienza è fatta di attraversamenti continui di una varietà di esperienze che ovviamente segnano ed hanno segnato e continueranno a segnare la nostra vita. Il rapporto con gli altri, il rapporto con la realtà è fatto esattamente di questa mutevolezza e la ninfa, che qui viene ad essere eletta protagonista, è esattamente l’emblema di questa mutevolezza dell’esperienza e delle forme in cui ci rappresentiamo e vediamo rappresentati gli altri e le cose questa mutevolezza che diventa la regola del nostro esistere. La ragione, forse il senso vero, della nostra esistenza e si trasmette insieme al linguaggio, in un suo uso particolare che qui abbiamo visto in parte. E si trasmette anche con quel tocco di distanza. Si tratta dunque di una esperienza del mutevole, della variabilità. Se io dovessi dare una definizione complessiva di questi testi poetici che sono stati scritti nell’arco di un quindicennio dal 1978 al 1992 parlerei esattamente di una poesia della variabilità, della mutevolezza, della cangianza, userei questo termine, caratteristica della nostra vita e della nostra esistenza. Che sia così, che non sia solo una mia ipotesi, ma che sia giusta la loro interpretazione (del video) ci viene detto proprio all’inizio di questo testo, leggo pag.14 (è questo---sonno) inviterei tutti a riflettere sull’attacco del testo. Transitare indica passaggio e viaggio. Nel libro di Pasquale Gionta le immagini di viaggi sono continue, viaggi reali, metaforici, non ho avuto il tempo di enumerarle, ma ci sono riferimenti a treni, palizzate, linee tranviarie. Il transitare però è sconnesso perché il nostro viaggiare, dentro la nostra vita, soprattutto quando si viaggia con intensità, passione, con la passione di quegli anni, con una passione che sempre contrassegna il rapporto con la vita, bene questo transitare è sempre sconnesso. È fatto di sobbalzi, alternanze nette tra i momenti, variazioni sistematiche e non a caso qui questo “sconnesso transitare” viene legato subito a questo secondo verso “per ripetuti nonostante”. Qui c’è un altro degli elementi di carattere linguistico e delle scelte di carattere stilistico proprio di Pasquale Gionta e cioè l’indeterminazione e cioè il lasciare la sequenza di parole così sospesa e lasciare un po’ al lettore, un po’ all’ascolto un po’ alla rilettura, l’attribuzione. Perché questo nonostante può essere una forma sostantivata e dunque transitiamo per ripetuti nonostante e cioè attraverso sistematici ostacoli, sistematici elementi che si frappongono alla nostra esperienza, alla verità della nostra esperienza. Ma nonostante potrebbe reggere “clamore mai veduto”. “Sgretolate sere…sonno” dove è chiaro che significa questo transitare sconnesso, perché proprio la variabilità dell’esperienza sostiene naturalmente la sconnessione della scrittura. Il fatto che la scrittura improvvisamente s’interrompa faccia saltare le sue logiche d’incastro e proponga degli spazi. Qualche teorico della letteratura li avrebbe definiti “spazi d’indeterminazione”, nel quale evidentemente il messaggio e il senso della poesia si esprime nel senso di quella cangianza delle forme di cui sopra. Da questo punto di vista si comprende di quali tecniche Pasquale Gionta si serva in questa sua poesia: accumuli, elencazioni, brusche cesure per cui rispetto ad una catena nominale di cose, esperienze vissute, elementi che ha visto che ha immaginato che hanno fatto parte della sua esperienza, il discorso improvvisamente s’interrompe, s’inserisce un’altra dimensione vissuta, proposta, raccontata attraverso i versi. E oltre l’interruzione c’è l’incastro c’è l’improvvisa inserzione di un elemento nell’altro. Ecco quando si parla di variabilità di esperienze. Ecco qui il video di prima c’insegna molto, si passa di tempo in tempo e di spazio in spazio come in questo libro. Si passa dall’arte classica all’800, in questo repertorio iconografico. Si passa da uno spazio all’altro, dall’aperto al chiuso, da una biblioteca in cui tutto è composto così come vorrebbe un grande culture di bellezze, ad uno spazio aperto come certa pittura simbolista di secondo ottocento. C’è dunque un continuo trascorrere, un continuo transitare da spazio da spazio e da tempo a tempo e questa sorta di acronia, questa dimensione per cui il tempo viene in questo senso abolito, questo abbandonarsi al flusso delle immagini, al flusso libero della analogie e delle associazioni è un elemento che contraddistingue la poesia di Pasquale Gionta, è un elemento per il quale è chiaro che da un luogo si passa ad un altro e il linguaggio è tenuto ad interrompersi , a snodarsi a rendersi dirompente rispetto alla norma consueta. E, da questo punto di vista, questo tipo di poesia implica un’attesa che è anche un’attesa attenta e partecipe per l’incontro con gli elementi che si presentano lungo questo transitare, ed è per questo il viaggio, è per questo il piacere del viaggio, il piacere del viaggi, la scelta, dei luoghi di viaggio, ed ecco i luogo ferroviario “aspettare è il soltanto che mi hai dato….ferroviario” ed è per questo che nel testo inaugurale “viaggiare scroscia” il distico finale parla di un “contò….pioggia” dove il brulichio indica l’infittirsi di voci, di sensazioni, di elementi, di apparati anche visivi che questa poesia mette in campo esattamente transitando, accettando questo transitare sconnesso. Quando si viaggia, quando si fa questa esperienza del transitare, e quando come tutti i viaggiatori, ma chi vive è un grande viaggiatore, non esistono possibilità di vivere se non di viaggiare, anche nel senso metaforico che questo comporta, dico che chi viaggia è disposto a recepire comunque, curiosamente la realtà che ha intorno. E questo libro è fatto di viaggi reali, viaggi fantasticati, è fatto di viaggi interiori, è fatto di quei viaggi che sono i nostri rapporti con gli altri magari con una lei, con una donna, anche se questa donna non ha aspetti, fisionomie reali. E come in ogni viaggio talvolta la meta sembra raggiunta, talvolta gli elementi di pienezza, di felicità sembrano a portata di mano ma non si tratta di una felicità, in base ad una tradizione della lirica occidentale, la felicità in questo caso s’intende piuttosto come un momento in cui una meta sembra raggiunto, un momenti in cui, per dirla con Montale “questo squarcio sui limoni” questa dimensione che apre, che in qualche modo rompe il senso, il peso del vivere, sembra a un passo dall’essere raggiunta. E ci sono al tempo stesso momenti in cui tutti sembra perdersi, sempre governato da una grande attenzione e padronanza. Da questo punto di vista ci sono due elementi che in questo libro di poesia sembrano raccogliere i vari testi. C’è una linea dell’incanto e una linea del disincanto. E queste linee si riconoscono, talvolta, s’incrociano, si biforcano, ma che sono sempre attive come sono attive queste dimensioni nella nostra esperienza del vivere. Talvolta queste dimensioni d’incanto si condensano in pochi versi che sembrano quasi trattenere come i movimenti danzanti di prima, per fermarli nelle forme chiuse. Leggo alcuni piccoli momenti: pg.33 inserisco sul gioco lava, lavato ed ancora momenti d’incanto momenti in cui l’attimo estatico sembra essere fermato e sembra che possa essere raggiunto. Leggo ancora: pg.58 dove certo tutto si compone sulla scorta si compone dell’arte classica, immagini che sono in qualche misura ferme e che sia pure trattenute, contenute da questa dimensione di distanza ironica ebbene fanno riferimento naturalmente ad un attimo di pienezza che viene vissuto, esposto , ricordato. Come quando si pronunciano questi versi, “lascia la notte….pg.60” ma accanto a queste dimensioni sono altrettanto forti e significative le dimensioni del disincanto, le dimensioni in cui il mondo sembra sgretolarsi e in quest’alternanza, in questo transitare sconnesso, un insieme di fenomeni difficilmente riconducibili ad un’unità che sembra contrassegnare la nostra presenza nel mondo il nostro rapporto con le cose e con gli altri, e anche qui leggo, ma prima voglio sottolineare lo stile nominale, l’accumulo, l’enumerazione, che in Pasquale Gionta per altro s’avvale anche di una scelta di una selezione, oltre che di una disposizione degli elementi che risente di una forte cultura, anche la selezione lessicale è particolarmente significativa, oltre che, sia pure velati di ironia, le allusioni culturali che sono molto frequenti nel suo testo: pg.66 ecco in questo testo come in altri sembra profilarsi, qui lo diceva anche Rodolfo prima, la storia di un canzoniere, ma di un singolare canzoniere. Anche il canzoniere è un transitare, anche il canzoniere d’amore lo è. Un canzoniere d’amore che tuttavia ha delle caratteristiche sue spiccate e particolari come può segnalare questo testo: pg.47 tracce di un canzoniere, di un canzoniere d’amore e però anche qui cautela, anche qui spazi d’indeterminazione di cui dicevo prima. Perché questa dimensione amorosa, questa configurazione di una lei possibile, questa manifestazione è in verità un tutt’uno e si fa sistematicamente un tutt’uno con i luoghi, con i paesaggi, con la realtà che viene esperita, con gli oggetti che vengono incontrati, con le immagini che vengono profilate. Ecco se nel canzoniere d’amore la lei ha una definizione lineare che consente il suo profilo e consente di riconoscerla, qui invece la scelta id questo transitare sconnesso e la scelta per questa variabilità e cangianza della forme fa sì, come nel video, che una forma si muti nell’altra e che anche un personaggio presumibilmente femminile diventi paesaggio, ambiente, atmosfera. È come un riaggregarsi delle cose delle cose, quella che attraverso il linguaggio e attraverso questa variabilità continua si nota nel testo di Pasquale Gionta. Un riaggregarsi delle cose che da questo punto di vista per esempio potrebbe rintracciarsi in questo testo che leggo perché è esattamente la dimensione nelle quali le cose si riaggregano nelle cose, in questa mutevolezza delle forme, in questo cambiare sistematico. Pg.64 Qui credo che s’avverta nettissimo questo percorso per cui le cose si stringono alle cose in questo perpetuo continuo nominare in questo elencare che ora assume una forma diciamo così affermativa, invece in altri casi è legato ad un punto d’interrogazione, l’aggregarsi è un elemento continuo, sentiamo che tutti gli elementi rientrano negli altri. C’è un accostarsi sistematico tra figure, frammenti, paesaggi, elementi, memorie, che vengono tutti concentrati in un unico spazio simultaneo. E allora forse possiamo capire qual è la radice profonda di questa poesia, di questo canzoniere di un particolare amore, perché quello che si cerca , anche attraverso questo processo associativo che la poesia mette in gioco, questo accostarsi di cose, pelle a pelle è un ritrovare un sorta di unità , un punto originario in cui le cose tutte insieme si tenevano esattamente prima di ogni storia, prima di ogni esperienza concreta che è esattamente il modello, se vogliamo, è l’utopia che ogni poesia si pone, guarda di fronte a sé come ad un orizzonte possibile, il ritrovare questa coesione, come diceva un grandissimo teorico della letteratura nel’900 si partecipa tutti insieme dentro un unico spazio. È soltanto in ragione di questo modello utopico, di questa chiave di utopia, che questo transitare sconnesso assume una ragione, un senso, un valore di significato non soltanto umano e privato, assume un valore di significato sociale, per gli altri. Vivere, documentare, scrivere la variabilità dell’esperienza e al tempo stesso cercare in qualche modo questa sintesi, questo punto di raccordo che forse è stato prima di ogni storia, che forse noi dobbiamo porre come momento finale verso il quale tendere, noi nella nostra esperienza privata, verso il quale indicare un cammino che ovviamente riguarda anche gli altri, che riguarda quello spazio d’indeterminazione, perché è così che la poesia apre, e che invita i suoi lettori a frequentare. Credo che da questo punto di vista anche questa poesia abbia per questa sua utopia e per questa sua documentazione di variabilità dell’esperienza abbia un valore civile e di resistenza di cui credo oggi non si debba e non si possa fare a meno.

Marcello Carlino Pinacoteca comunale d’Arte Contemporanea “Giovanni da Gaeta” – GAETA – 5 luglio 2013

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